6 canzoni da lavoro

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Chissà se La Classe operaia va davvero in paradiso. Sicuramente ci sarà finito Gian Maria Volonté per le sue formidabili prove di recitazione, come questa nel film di Petri. Aveva un modo speciale di entrare nei ruoli, totale e devoto. Era sempre un altro, hanno detto. Tutto è politica, diceva.


Il primo maggio innesca una serie di riferimenti musicali in cui non può mancare Working Class Hero del 1970, attacco sferzante di John Lennon ad arrivismo e conformismo. There’s room at the top they are telling you still / But first you must learn how to smile as you kill. Magari Lennon non proveniva esattamente dalla classe operaia ma la sua denuncia sembrava genuina. Pochi anni più tardi, Marianne Faithfull ha fatto di Working Class Hero una versione radical-spettrale affascinante che si è spinta ancora oltre i limiti del ‘ruolo’ dell’interprete, essendo lei figlia di un professore universitario e di una baronessa austriaca. Nel suo caso erano in ballo, forse, altre problematiche.


Ma fuori dai conformismi, appunto, è giusto che ognuno militi con il proprio stile. Elvis Costello è stato spiazzante con il suo bellissimo debutto My Aim is True in piena esplosione anarchica del 1977. Un linguaggio nuovo che rielaborava il rock’n’roll della tradizione in chiave punk, in un album di rottura ma costruttivo, forse già in vista del post punk, in qualche modo. Elvis giocava sul filo di vicende private amorose e inquietudine collettiva. Welcome to the working week cantava di sera Elvis, mentre di giorno lavorava come operatore informatico alla Elizabeth Arden di Londra.


Sul finire degli anni settanta, all’interno del movimento punk faceva secessione l’ala più estrema che ‘veniva della strada’, detta Oi, che si sarebbe delineata poi come skinhead. Lo street punk rivendicava di essere la vera rappresentanza del proletariato inglese. Erano gli anni di ferro del thatcherismo. Come si possono ignorare le cose che accadono sotto gli occhi di tutti? Billy Bragg non si è tirato indietro. Più che cantante politico si è autodefinito cronista della realtà:  Well the factories are closing and the army’s full / I don’t know what I’m going to do / But I’ve come to see in the land of the free / There’s only room for a chosen few.


Saltando a fatti più recenti, M.I.A., inglese di origini tamil, ha collaborato con la catena H&M per la campagna pubblicitaria della Settimana Mondiale del Riciclo con la canzone Rewear it. M.I.A. ha scelto la linea di denuncia da sempre. Anche se sono convinta che la contraddizione sia vitale, a volte questa dinamica mi confonde più di altre. H&M è coinvolta nelle indagini sullo sfruttamento del lavoro minorile su cui non mi risultano esserci risposte definitive, se non il proposito della multinazionale di alzare il livello di attenzione sulla filiera della produzione. Per il momento penso che M.I.A. imbarcandosi in questa campagna abbia almeno confermato la propensione al coraggio – oltre ad avere tirato fuori, come spesso, una bella canzone.


Nel 2010 nel suo potente album d’esordio La Macarena su Roma, Iosonouncane, musicista sardo senza filtri, ha inserito Torino pausa pranzo, una canzone che parla del funerale degli operai morti nelle acciaierie della ThyssenKrupp nel 2007. Tutto l’album verte su temi spinosi politici e sociali, calcando la mano sul velo di ipocrisia spiegato da istituzioni e media (Il coccodrillo commosso parente stretto delle borsette / è il prezzo da pagare per i prezzi da scontare). La narrazione sembra racchiusa in una bolla straniante resa attraverso ritmi incalzanti e distorti, tra chitarre e suoni sintetici in un filo che unisce il cantautorato anni 70 all’elettronica.


Lavoravo in quel di Baggio e mi han licenziato a maggio
M’ha chiamato il Direttore e mi fa: «Caro signore
Con quel tic non rende niente!…
Eh! Non vede? Sembra quasi un deficiente!