6 canzoni inglesi

the-kinks

The Kinks – foto qui


Waterloo Sunset – The Kinks

Ray Davies racconta che quando scrisse Waterloo Sunset nella seconda metà degli anni sessanta non pensava a Terence Stamp e Julie Christie – la coppia di attori glamour del momento – come suggeriva la stampa bensì a a sua sorella con il fidanzato che “camminavano nel futuro”. Millions of people swarming like flies ‘round Waterloo underground / But Terry and Julie cross over the river / Where they feel safe and sound / And they don’t need no friends / As long as they gaze on Waterloo sunset / They are in paradise. Senza e con i Kinks, Ray Davies ha scritto tanto sulla società britannica, prendendo di mira l’upper class e portando in primo piano le problematiche della classe operaia. Ma questa canzone più delle altre è un faro che illumina Londra.


I wanna be adored – The Stone Roses

Canzone di panza, canzone di sostanza. Il suono Madchester è ormai storia della musica non solo britannica. Movimento culturale nato a Manchester alla fine degli anni ottanta, ci deliziò per un decennio con il sogno di condividere l’immaginario giovanile con i coetanei oltremanica. Gli Stone Roses raccontavano esattamente quell’immaginario. Probabilmente sono proprio un gruppo sopravvalutato, come molti dicono, ma quel miscuglio di edonismo, psichedelia e vena acid era davvero manifestazione di quei tempi.


Glad to be gay – Tom Robinson

A proposito di movimenti e di fine degli anni ottanta, parallelamente alla scena di Manchester, in Inghilterra un gruppo di musicisti politicamente impegnati creava il collettivo Red Wedge. Capofila, ovviamente, era Billy Bragg, noto per il suo attivismo, affiancato da Jimmy Somerville e Paul Weller. Il fronte era quello laburista e la speranza era di introdurre le tematiche sociali tra le fila delle nuove generazioni. Tra gli artisti che aderirono ci fu anche Tom Robinson, che la sua posizione più chiara di così non poteva dirla. Glad to be gay fu scritta per il gay pride di Londra del 1976.


Time for Heroes – The Libertines

Il gruppo del chiacchieratissimo Pete Doherty, versione anglosassone degli americani Strokes, ha debuttato nel 2002 con l’album Up the Bracket per Rough Trade, madre delle etichette indipendenti UK. Time for Heroes si riferisce agli scontri londinesi del May Day del 2000: un disco che non prospetta scenari rivoluzionari come Sandinista! (the stylish kids in the riot sono lontani dalla working class di The Magnificient Seven) ma può vantare la produzione di Mick Jones dei Clash.


Let England Shake – PJ Harvey

La Signora del rock contemporaneo in veste di cantastorie nazionale. Nel 2011 PJ Harvey scriveva un album in cui narrava le (dis)avventure belliche del suo paese con una potenza espressiva che trascendeva le coordinate spazio temporali. Ed erano solo le prime pagine di un nuovo capitolo ‘popolare’ che ha continuato a scrivere nell’ultimo The Hope Six Demolition Project. Il nonsense della guerra e il torpore da cui è necessario svegliarsi. The West’s asleep, let England shake / Weighted down with silent dead.


She’s beyond good and evil – Pop Group

Punk primitivo sperimentale da Bristol. Dei Pop Group amo la contaminazione punk, jazz, dub e funk, affine al suono delle londinesi Slits. Con loro, tra l’altro, collaborarono nel 1980 alla realizzazione del singolo In the beginning there was rhythm / Where there is a will. Enjoy.

People from Ibiza

Le uniche 24 ore della mia vita che ho passato a Ibiza ho preso un’insolazione con brividi e vomito per una notte intera ma so per certo che c’è gente che ci va e fa tutte quelle cose per cui l’isola delle Baleari è famosa nel mondo: si diverte. Ricordo le foto di amici appena tornati dal viaggio ho paura a contare quanti anni fa. Scatti di scena di Almodovar: vestiti catarifragenti, occhialoni a specchio, creste, una specie di omaggio al tormentone culto del 1984 People from Ibiza di Sandy Marton  che solo ora scopro non essere festivalbaregno bensì croato. Such a crazy band like my friends from wonderland cantava con credibilità Sandy dentro un camice da chirurgo.


SANDY MARTON

Sandy Marton – foto qui


Circa quindici anni più tardi, nel 1999, nei Club di Ibiza spopola un altro tormentone: Sing it Back del duo anglo irlandese Moloko, nel remix del produttore house tedesco Boris Dlugosch (che ha messo mano anche a L’ombelico del mondo ma pure ai Daft Punk). Non esattamente il mio genere ma ammetto di subire il fascino di Róisín Murphy in tutte le sue manifestazioni. Quel successo in quel contesto era scritto nel destino. Róisín e Mark Braydon si erano conosciuti nel clima friccicarello di una festa, sebbene lo scenario fosse Sheffield, che di allegria ne sprizza come il 2 novembre. Lei lo abborda chiedendogli Ti piace il mio maglione? A lui evidentemente garba parecchio perché i due si fidanzano e la frase di Róisín diventa il titolo del loro primo album, Do you like my tight sweater? E per restare in clima festaiolo, scelgono di chiamarsi Moloko, come la bevanda a base di latte e anfetamine preferita da Alex in Arancia meccanica.



Sing it Back fa parte del secondo album dei Moloko, I am not a doctor del 1998. Il disco nel complesso non è una pietra miliare – come anche gli altri in realtà – e i due si caratterizzano come band dal singolo forte. Ma sanno bene come amalgamare elettronica, house e trip hop per creare prodotti dance di qualità e Róisín diventa sempre più brava. Tanto da mollare Mark come fidanzato e come partner artistico. Nel 2005 esordisce da solista con il raffinato, e non proprio commercialissimo, Ruby Blue. A distanza di 10 anni è arrivata al quarto album, Take Her Up To Monto, in uscita il prossimo luglio. Il primo singolo, bellissimo, è Ten Miles High e la regia del video è della stessa Róisín.