Chi non lavora non fa l’amore?

jerry6

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Alle 19.45 di un venerdì l’ascensore dell’ufficio puzza di mandarino per colpa tua. Mentre sei in discesa libera verso la vita vera ecco una fermata improvvisa, le porte si aprono e sulle note dei santi che stai elencando entra il viscidone del settimo piano, quello che è sufficiente che tu non sia uno scaldabagno. Con lo sguardo scorri il gessato dall’alto in giù fino ai mocassini mosci. Ma come ti sei ridotta? Ha qualcosa di quell’amico dei tuoi della casa al mare di vent’anni fa, quello del golfino salmone sulle spalle. In mezzo a una carrellata di banalità a un certo punto infila un “facciamo un pezzo di strada insieme?”. Preghi di non incrociare anima viva sul tragitto e in un attimo sei già carne da ribaltabile (per lui ancora attualissimi). Se ci fosse la filodiffusione nel mondo a questo punto partirebbe Let’s stick together di Bryan Ferry, l’unica stella del firmamento dandy all’altezza di un colpaccio da pianobar. Che resti qui, nell’attraversamento di questi sette piani: a te quel vermone piace.

Let’s stick together nasce però con una allure più castigata rispetto alle sue vite successive, passando più o meno dallo status di inno celebrativo del sacro vincolo del matrimonio a manifesto del primo maggio. Appare per la prima volta nel ’62 nella versione del bluesman Wilbert Harrison, con scarsissimo successo di classifica. Il testo, in realtà lo stesso usato poi da Ferry nel 1976, parlava di “doveri coniugali” con un risvolto patetico che chiamava in causa i figli e il loro “bene” You know we made a vow / To leave one another never / Now if you’re stuck for a while consider our child / How can it be happy without its ma and pa. 

Una manciata di anni più tardi, nel 1969, qualcuno nell’entourage di Harrison deve avere pensato che ci si poteva riprovare proponendo un testo rivisitato con un messaggio più paragnosta. Il mondo stava cambiando e la strategia vincente si rivelò quella di cavalcare l’onda delle rivoluzioni culturali all’insegna di ideali comunitari. Di questa rinnovata chiave di lettura ne approfittarono anche i californiani Canned Heat con la loro versione blues-rock che divenne una hit della stagione. Con l’esortazione Lavoriamo insieme si faceva riferimento davvero a braccia da rubare ai campi, alla condivisione di valori, all’unione (morale) che fa la forza.

Quando poi nel 1976 fu la volta dello sparviero Bryan invece era ormai tempo degli ammiccamenti del glam rock. Qualcuno del suo entourage deve aver pensato di ripristinare il testo originale che puntava sull’intesa di coppia e di dare spazio a un sassofono invece che a chitarre e armoniche, più in linea con i tempi. Nel video della canzone Ferry interpretava i panni dello sposino mandrillone assieme a una felina Jerry Hall, all’epoca sua compagna. L’aveva incontrata per lo shooting dell’album Siren dei Roxy Music. Ma non durò molto, giusto il tempo di far arrivare Mick Jagger che invece i doveri coniugali li ha potuti rivendicare davvero per una decina d’anni. 

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