Sign of These Times

prince

Sign O’ The Times


Se c’è un album che mi ha fatto molleggiare di felicità e inchiodare di tristezza, eccolo qui. Chi se lo dimentica il verso all’inizio di Sign O’ The Times che parla di una grande malattia con un piccolo nome, un pugno nello stomaco in apertura di quello che è considerato il capolavoro di Prince. Data di uscita: 31 marzo 1987. Mentre il flagello dell’aids stava sgretolando i ruggenti anni ’80, Prince pubblicava questo album doppio, per la prima volta senza il mitico gruppo The Revolution. Un lavoro straordinariamente camaleontico che fonde ritmi, generi e argomenti, accompagnandoci in un album di fotografie di fine secolo, tra riferimenti che vanno da James Brown a Joni Mitchell. Un manifesto delle piaghe sociali degli anni ottanta, dall’aids alla droga (dove reefer e horse sono termini slang per marijuana ed eroina), dalle armi e le baby gang all’esplosione dello shuttle Challenger. Ma allo stesso tempo, un enorme tao che dal primo pezzo al sedicesimo impasta carne e spirito, amore, sesso e soldi, mettendo in scena la ruota della vita nelle sue espressioni più sensuali.

In France a skinny man died of a big disease with a little name / by chance his girlfriend came across a needle and soon she did the same / at home there are seventeen-year-old boys and their idea of fun / is being in a gang called The Disciples high on crack, totin’ a machine gun… In September my cousin tried reefer for the very first time now he’s doing horse, it’s June.

Non vedi che lei non ci sta?

Chi l’avrebbe mai detto che nel 2016 la vita avrebbe tenuto in serbo per noi l’apericena, il momento della fusione a perdere di due concetti già belli e completi nella loro individualità: l’aperitivo prima e la cena dopo. Sarà che abbiamo fatto tutto e siamo nell’era dei post, non ci restano che nuove, raccapriccianti, combo. Ma spesso è proprio all’apericena che può essere reperibile un certo tipo di esemplare piacione moderno. Ci vuole far credere di essere stato trascinato, infatti lui ha altri mille eventi molto meglio, però, già che c’è, arraffa nachos e insalata di farro e ammicca pure alle gambe del tavolo. Intanto voi, che sul serio siete stati portati di peso in quel locale, assistete alla scena scivolando nell’evidenza: non esistono più i piacioni di una volta. E peggio ancora, non esiste più neanche il sottofondo musicale all’altezza. Passi il farro, ma sopravviverete al remix buddha bar del best of Mengoni?

Invece, quando una trentina di anni fa si faceva sul serio, e si andava in discoteca o al pianobar, il piacione alfa esisteva davvero. Si chiamava Giuseppe Chierchia, alias Pino D’Angiò, made in Pompei. Nei primi anni ottanta viene buttato sul palco in camicia sbottonata su pelo increspato e sigaretta accesa tra le dita. Ha il riccetto malandrino e canta un rap mandrillo dal titolo Ma quale idea, il cui incipit L’ho beccata in discoteca con lo sguardo da serpente / Io mi sono avvicinato lei già non capiva niente è manifesto programmatico. Cronaca di un rimorchio, in sostanza. Riassumendo: lui la aggancia in discoteca, la raggira a squalo e com’è come non è, riesce a portarsela a casa. Ma quando, ingrifatissimo, arriva al dunque, un coro greco che anticipa la tragedia imminente gli fa lo spiegone: ué Pino sveglia, lei non ci sta. Secondo noi se continui a ballare è meglio.



Anche se la serata va in bianco, il disco diventa un successo internazionale che vende ben dodici milioni di copie nel mondo. Pino è disinvolto e brillante, è uno che nelle interviste scandisce il tempo schioccando le dita, è maestro di acchiappo. A scanso di equivoci il lato B del singolo viene chiamato Lezioni d’amore. La sua fama di cantautore piacione arriva fino a Mina, per la quale qualche anno più tardi si cimenta nell’abbordo da supermercato scrivendo la canzone Ma chi è quello lì, il cui video vanta una strepitosa partecipazione di Monica Vitti. Poi, nel 2005 è il gruppo hip hop romano Flaminio Maphia a omaggiarlo reinterpretando Ma quale idea in chiave disco-romanesca, con il titolo abbreviato in Che idea.



Nonostante questi attestati di stima, forse non è ancora stato fatto abbastanza in patria per rendere merito a tanto patrimonio nostrano. Perché magari in Italia Pino non l’abbiamo capito davvero, mentre all’estero Ma quale idea è entrata a fare parte dell’olimpo delle hit funk, quando nel 2003 è stata inserita nel DVD World Tribute to the Funk, compendio enciclopedico della Sony Music. Ora però, proprio in questo 2016 che quell’esordio folgorante compie 35 anni, e che Pino ha appena pubblicato un nuovo album – Dagli Italiani a Beethoven – sarà il caso di rimediare. Più che un suggerimento è un imperativo: Balla!