Musica + Libri #6 “Il cavo della mano” di PJ Harvey & Seamus Murphy

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PJ Harvey & Seamus Murphy, Il cavo della mano, La nave di Teseo, 2017


Nel 2016 PJ Harvey ha pubblicato The Hope Six Demolition Project, un album di spirito corale e resistenza civile. Hope VI, infatti, è un infelice progetto dell’amministrazione di Washington varato nel ’92 per demolire degli alloggi popolari di periferia in vista di nuovi nuclei commerciali e abitativi. In parte, Il cavo della mano condivide l’ispirazione con quel disco, essendo entrambi i lavori nati dalla necessità di testimonianza della realtà e di ciò che certe scelte economiche e politiche rappresentano per la comunità. Mentre The Hope Six si esprimeva in musica, Il cavo lo fa attraverso le poesie della cantante insieme alle fotografie di Seamus Murphy, già regista di alcuni video tratti da The Hope Six

In breve, questa raccolta contiene gli appunti di viaggio di tre tappe percorse dai due artisti tra il 2011 e il 2014: Kosovo, Afghanistan e Washington DC. Strade polverose, squarci nei muri, colori consumati, carcasse abbandonate, oggetti arrugginiti. Ma anche contrasti dell’opulenza che l’Occidente ha generato, tracce di guerra e scenari di sopravvivenza. Alcuni componimenti sono fulminei, come Anacostia:

un minuscolo sole rosso / come un fanale posteriore / lungo il cavalcavia

Il cavo della mano, titolo dal sapore aspro, è quello che mendica sotto la pioggia, oltrepassato con indifferenza dalla gente che cammina fissando il proprio cellulare (La mano). L’invasore è sempre lì, dietro l’angolo della strada, pronto a depredare e cancellare. E noi aspettiamo, e seguiamo uno stato delle cose continuamente in bilico tra disperazione e speranza, abituati, ormai, ma pietrificati. Mentre la notte vigila con la sua mezzaluna (Adhan), assistiamo alla consapevolezza che certe cose non torneranno mai più… è un processo normale ma fa un po’ d’impressione (Pietà per la vecchia strada).

Tutto è raccontato attraverso una varietà di scelte stilistiche che spaziano dal distico (2 versi) alla sestina (6 versi), dai versi liberi a quelli in rima alternata (nell’originale, a fronte in questa edizione). Ad amplificare le vibrazioni delle parole ci sono le immagini di Seamus Murphy, fotografo di guerra di origini irlandesi, che coglie dolcezza e orrore in un medesimo clic. I tanti scatti qui pubblicati sono il frutto di circa vent’anni di lavoro.

 

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Mitrovica, giugno 1999

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Kabul, febbraio 2012

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Washington DC, aprile 2006

6 canzoni inglesi

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The Kinks – foto qui


Waterloo Sunset – The Kinks

Ray Davies racconta che quando scrisse Waterloo Sunset nella seconda metà degli anni sessanta non pensava a Terence Stamp e Julie Christie – la coppia di attori glamour del momento – come suggeriva la stampa bensì a a sua sorella con il fidanzato che “camminavano nel futuro”. Millions of people swarming like flies ‘round Waterloo underground / But Terry and Julie cross over the river / Where they feel safe and sound / And they don’t need no friends / As long as they gaze on Waterloo sunset / They are in paradise. Senza e con i Kinks, Ray Davies ha scritto tanto sulla società britannica, prendendo di mira l’upper class e portando in primo piano le problematiche della classe operaia. Ma questa canzone più delle altre è un faro che illumina Londra.


I wanna be adored – The Stone Roses

Canzone di panza, canzone di sostanza. Il suono Madchester è ormai storia della musica non solo britannica. Movimento culturale nato a Manchester alla fine degli anni ottanta, ci deliziò per un decennio con il sogno di condividere l’immaginario giovanile con i coetanei oltremanica. Gli Stone Roses raccontavano esattamente quell’immaginario. Probabilmente sono proprio un gruppo sopravvalutato, come molti dicono, ma quel miscuglio di edonismo, psichedelia e vena acid era davvero manifestazione di quei tempi.


Glad to be gay – Tom Robinson

A proposito di movimenti e di fine degli anni ottanta, parallelamente alla scena di Manchester, in Inghilterra un gruppo di musicisti politicamente impegnati creava il collettivo Red Wedge. Capofila, ovviamente, era Billy Bragg, noto per il suo attivismo, affiancato da Jimmy Somerville e Paul Weller. Il fronte era quello laburista e la speranza era di introdurre le tematiche sociali tra le fila delle nuove generazioni. Tra gli artisti che aderirono ci fu anche Tom Robinson, che la sua posizione più chiara di così non poteva dirla. Glad to be gay fu scritta per il gay pride di Londra del 1976.


Time for Heroes – The Libertines

Il gruppo del chiacchieratissimo Pete Doherty, versione anglosassone degli americani Strokes, ha debuttato nel 2002 con l’album Up the Bracket per Rough Trade, madre delle etichette indipendenti UK. Time for Heroes si riferisce agli scontri londinesi del May Day del 2000: un disco che non prospetta scenari rivoluzionari come Sandinista! (the stylish kids in the riot sono lontani dalla working class di The Magnificient Seven) ma può vantare la produzione di Mick Jones dei Clash.


Let England Shake – PJ Harvey

La Signora del rock contemporaneo in veste di cantastorie nazionale. Nel 2011 PJ Harvey scriveva un album in cui narrava le (dis)avventure belliche del suo paese con una potenza espressiva che trascendeva le coordinate spazio temporali. Ed erano solo le prime pagine di un nuovo capitolo ‘popolare’ che ha continuato a scrivere nell’ultimo The Hope Six Demolition Project. Il nonsense della guerra e il torpore da cui è necessario svegliarsi. The West’s asleep, let England shake / Weighted down with silent dead.


She’s beyond good and evil – Pop Group

Punk primitivo sperimentale da Bristol. Dei Pop Group amo la contaminazione punk, jazz, dub e funk, affine al suono delle londinesi Slits. Con loro, tra l’altro, collaborarono nel 1980 alla realizzazione del singolo In the beginning there was rhythm / Where there is a will. Enjoy.