Musica + Libri #6 “Caetano Veloso. Camminando controvento”

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Igiaba Scego, Caetano Veloso. Camminando controvento, add editore, 2016

Nel primo capitolo di “Camminando controvento”, Igiaba Scego mette subito le cose in chiaro: Io amo la musica perché mi fa sognare, ballare, credere che in fondo tutto può succedere. I destini di Igiaba e Caetano si incrociano in una libreria del centro di Roma, dove lei trova un impiego accettabile dopo la laurea. Tra i dischi da spolverare, si fa notare la copertina di “Cores, nomes”, album di Veloso del 1982 che mostra lo sbarbatissimo cantante di profilo con un cappello in testa, e Igiaba viene travolta dalla scoperta del Brasile musicale. Pagina su pagina (che non sono molte e si propongono in formato decisamente tascabile) vengono somministrate pillole di una carriera e di una stagione artistica prodighe di influenze tuttora contagiose. Un piccolo testo che scoppia di entusiasmo per un grande amore, alimentato, oltre che dalla musica, anche dalle affinità che Igiaba individua tra la propria storia e l’universo del suo idolo, lungo un filo rosso collega Santo Amaro da Purificação e Primavalle, il Brasile e la Somalia, tutte le migrazioni del mondo. La chiave di scrittura è personale e spontanea ma pur nell’assenza di un andamento lineare per riferimenti storici e cronologia, il libro garantisce parecchie informazioni su Caetano Veloso e sullo scenario culturale e sociale in cui si è mosso dagli anni ’60 a oggi. D’altronde non stiamo leggendo una biografia, l’autrice stessa chiosa, ma una lettera d’amore in forma di flusso di coscienza.



Al termine di questo libro ho focalizzato due cose che mi stanno a cuore della vicenda del protagonista e di come viene raccontata qui. Una è la lezione tropicalista di João Gilberto appresa da Veloso ai suoi esordi, verso la fine degli anni ’50: “João Gilberto è preciso ma sa che la musica è imprecisa, disordinata, ribelle, anarchica… perché anche chi è stonato ha un cuore.É que os desafinados também têm coração” (Desafinado). La seconda è la capacità di Veloso di farsi amare dal pubblico nonostante le frequenti polemiche degli intellettuali sul suo scarso impegno politico e sull’eccessivo sperimentalismo. In seguito all’inizio della dittatura in Brasile, Caetano lascia il Brasile come altri artisti attivisti e insieme all’amico Gilberto Gil approda a Londra. Nasce qui nel 1968 il disco dell’esilio “Caetano Veloso”, manifesto di una generazione di resistenti che hanno scelto di combattere attraverso un approccio moderno, all’avanguardia, poetico e libero, sovversivo per mezzo di arte e cultura, protagoniste della rivoluzione di quegli anni. Ed è questa “Alegria” la lezione di Caetano Veloso, una passeggiata nel sole nel cuore del Brasile sotto dittatura. Camminando controvento, a testa scoperta e senza documenti, nel sole di quasi dicembre, io vado… Perché no? (Alegria, Alegria).


 

 

Musica + Libri #1 – ‘Jazz’ di Toni Morrison

Inizio oggi questa rubrica di Musica + Libri, originalissimo nome infatti bocciato ieri in chiacchiere al tavolo di un bar con un amico, nata dall’idea di segnalare testi che parlano di musica in qualche modo. Biografie, saggi e romanzi, vecchi e nuovi. Ho scelto come prima uscita Jazz di Toni Morrison, esperta di cultura afroamericana e premio Nobel per la letteratura nel 1993, una cosetta. E lancio una dedica collettiva agli irriducibili ascoltatori e lettori sfruttando le parole che ho incontrato recentemente in Telegraph Avenue, dall’autore Michael Chabon alla moglie: Ad Ayelet, dal momento in cui cala la puntina fino al solco più interno.


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Toni Morrison, Jazz, 1992


Nel 1926 ad Harlem ne accaddero delle belle. Gli anni Venti ruggirono anche grazie alla comunità afroamericana che nel movimento dell’Harlem Renaissance fece esplodere la propria rivalsa sulla cultura predominante bianca attraverso varie forme artistiche. Jazz, parte di una trilogia inaugurata con Amatissima nel 1987, si apre nel bel mezzo di quel momento storico e consuma subito il dramma passionale da cui si dipana il romanzo, andando a ritroso nella ricostruzione dei fatti. Ricostruzione parziale, pur nella sua coralità, concertata da un narratore dall’identità misteriosa ed eseguita dai protagonisti del libro secondo i propri diversi punti di vista.

Al centro della storia, lo scandaloso threesome – termine denso che si perde a tradurlo in italiano – tra la moglie Violet, il marito Joe e la giovanissima amante Dorcas. Dopo il gesto estremo compiuto da Joe (“uno di quegli amori tutta pancia… che lo ha reso triste e felice al punto da spararle perché quell’emozione durasse in eterno”), Violet sfigura la ragazza al suo funerale in un accesso di violenza disperata, sotto gli occhi della “Città” compassionevole, tanto ambita dopo la miseria della originaria Virginia da cui provengono i coniugi, la “Città che ti fa girare la testa. Ti fa fare quello che vuole, ti fa andare dove vogliono le sue strade così regolari. E facendoti credere per tutto il tempo di essere libero…”



Per le strade di Harlem la musica sembra essere l’elemento che fa confluire i destini individuali in una ineluttabile sorte comune, come una sapienza collettiva che tiene le fila della frammentarietà di percorsi e racconti. Che poi non è distante da quanto accade nell’improvvisazione jazzistica, impossibile da fare se alla base non c’è buona padronanza della materia. “Quella musica sconcia che picchiava così dal basso, quella che le donne cantavano e gli uomini suonavano e al cui ritmo le une e gli altri ballavano, avvinghiati senza pudore o staccati senza freno.”

Quando Violet indaga sulla vita di Dorcas per ‘farsene una ragione’, cerca di scoprire nell’ordine quali erano i segreti della sua acconciatura, quale la sua band preferita e, non ultimi, quali i passi di danza che sapeva fare. Il 1926, infatti, fu anche l’anno in cui prese il via l’attività della Savoy Ballroom, la prima sala da ballo con ingresso consentito sia a bianchi sia a neri, in cui si esibirono da Benny Goodman a Count Basie e a cui, tra le altre canzoni dedicate, si ispira un noto standard dal titolo Stompin’ at the Savoy. La sua sede era proprio in Lenox Avenue, successivamente chiamata anche Malcom X Boulevard, la strada dove abitano Violet e Joe e fulcro della vita del quartiere in quegli anni (ma non solo, come testimonia Gil Scott-Heron nel suo album Small Talk at 125th and Lenox).



Jazz e blues, a dire il vero, sono rintracciabili ovunque nelle pagine del romanzo, lo stile stesso della scrittura è musicale, fatto di assoli, come dice la traduttrice Franca Cavagnoli nella ricca e ispirata postfazione. È anche nelle voci delle storie private che diventano pubbliche, è nel racconto che riproduce l’oralità della tradizione afroamericana attraverso il ritmo, le sospensioni e le riprese, con un richiamo al field holler, quella forma rudimentale di canzone da lavoro dei campi di cotone. Una prosa appassionata e appassionante, asciutta ma poetica, in cui farsi invischiare come dal suono dei clarinetti che sale dagli angoli delle strade di Harlem.