Musica + Libri #12 – “Gil Scott-Heron. Il Bob Dylan nero” di Antonio Bacciocchi

Antonio Bacciocchi, Gil Scott-Heron. Il Bob Dylan nero, Vololibero Edizioni, 2018

Ultimamente mi sono affezionata a un commento che ho letto sui social: Bob Dylan è il Gil Scott-Heron bianco (e non il contrario). Le storie andrebbero ribaltate per essere osservate da altri punti di vista, o almeno approfondite, per cominciare.

Questo libro breve ma efficace, un bignami deluxe di vita privata e carriera del personaggio straordinario che è stato Gil Scott-Heron, va in questa direzione. Sostenuto dalla scrittura di Antonio Bacciocchi che è limpida e riesce a essere esaustiva senza lungaggini. Tra le tante attività che porta avanti, per esempio come batterista e produttore, è al suo secondo libro su Gil Scott-Heron, entrambi pubblicati da Vololibero. Ha un blog che si chiama Tony Face ma per fortuna del blog non ha il filtro dell’ego esasperato e spesso infruttuoso di tanti autori del genere.

Gil Scott-Heron è stato un artista abissale, ha esaltato la rivoluzione civile e attraversato l’inferno dell’anima restando bloccato prima dell’uscita. È stato un intellettuale attento, che in principio ha approcciato la scrittura, esplorandone poi le sue connessioni con la musica tramite la poesia e lo spoken word. Si è mosso con disinvoltura tra jazz, blues, afro e anche nel circuito dell’elettronica, con il suo ultimo album I’m New Here pubblicato dalla XL Recordings di Richard Russell.

Questo libro è diviso in due parti, la prima prettamente biografica ma in un quadro più ampio di influenze e iniziazione politiche e culturali. La seconda è dedicata alle sue apparizioni live in Italia attraverso le testimonianze di musicisti, critici e fan, e alla sua discografia. Da leggere in condizioni ottimali, come direbbe Gil.

Musica + Libri #2 – ‘Diario del Rolling Thunder (Dylan e la tournée del 1975)’ di Sam Shepard

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Sam Shepard, Diario del Rolling Thunder, 2005 – fotografie di Ken Regan

Da qualche anno questo libro fa su e giù per gli scaffali della mia libreria cercando di vincere la mia eterna reticenza verso Bob Dylan. Me lo sono accaparrato nel periodo in cui collaboravo con le edizioni Cooper – pace all’anima loro. Stavolta lo tengo serrato tra le mani.

Il Diario del Rolling Thunder è il racconto del leggendario tour che Bob Dylan fece nell’autunno del 1975 dal punto di vista di Sam Shepard, autore e attore dalle molteplici risorse e bellezze. Dylan lo ingaggiò per scrivere un fantomatico film che non vide mai la luce, almeno non nella formula pensata in origine, con i dialoghi scritti da Shepard e tutto il resto a marchio Dylan. Il tour fu concepito come una specie di spettacolo circense, un varietà da portare in giro negli stati americani del New England (la patria dei Padri Pellegrini). Vi prese parte un’infilata di nomi da leccarsi i baffi: Bob Dylan, T-Bone Burnett, Joan Baez, Joni Mitchell, Muhammad Ali, Allen Ginsberg, Arlo Guthrie eccetera eccetera… 

Nonostante sia un resoconto frammentario che rincorre le stravaganze di una carovana di matti – come annuncia Shepard nell’introduzione – il libro ha il pregio di comporre un quadro vivissimo della generazione di artisti che hanno fatto, ma anche combattuto, la Storia durante gli anni sessanta e settanta. Un ritratto tanto ricco di suggestioni e sfumature da rendere lampante il perché allora l’autore fosse acclamato come enfant prodige della scrittura teatrale. C’è lo scetticismo dello Shepard cowboy da un lato, all’inizio, quando nel pieno del trasloco nel suo ranch in California viene reclutato per entrare nel tour. C’è la gigantografia di Dylan dall’altro, con i capricci da star e le smanie di anticonformismo (come la scelta di suonare nelle piccole sale da concerto). È già il Dylan arcinoto per essere un grande bluff e più Shepard procede confuso e straniato in questa avventura più Dylan governa la scena con pieno controllo delle sue ambiguità. 

Il filtro dell’autore è una lente che rivela le cose con naturalezza. Porta il lettore a immergersi direttamente nell’esperienza. “Mi sento tipo ‘ci sono!'” esclama quando si trova per la prima volta di fronte ai personaggi coinvolti nel tour, “È una collezione, in cui a ogni singolo elemento si potrebbe costruire attorno un’intera band”. Esserci significa anche cercare un posto nella Storia: “Non è una delle tante tournée di musica, bensì un pellegrinaggio. Stiamo cercando noi stessi da qualche parte.” Tra il passato folle ma strutturato di un’America cieca e un presente che fugge.

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Poi c’è la musica, e ancora di più in questo caso ci sono i testi e le vicende che raccontano. Il Rolling Thunder è il tour di Desire, l’album della canzone dedicata all’ex pugile ingiustamente accusato di omicidio, protagonista della tappa al Madison Square Garden di New York nota come la notte di Hurricane. Il luogo non segue il basso profilo tenuto finora ma è una scelta d’eccezione per celebrare i diritti umani, quegli eroi di tutti i giorni che fanno vite parallele, vedi i poliziotti in servizio che Dylan neanche lo riconoscono. E poi c’è anche Sara, che ho ascoltato mentre scrivevo queste righe pensando quello che penso sempre di Dylan, cioè che io non la reggo questa voce piena di sé. Poi, però, continuando a scrivere l’ho fatta ripartire altre tre volte e ho immaginato Shepard e Dylan incontrarsi nelle loro visioni. “Una cosa che mi colpisce delle canzoni di Dylan è la loro capacità di evocare immagini, scene intere che si materializzano in modo vivido mentre uno ascolta… Sarei curioso di sapere se in A simple twist of fate c’è qualcuno che vede lo stesso piccolo parco piovoso e la stessa panchina e la stessa luce gialla e la stessa coppia di persone che vedo io. O la stessa spiaggia in Sara; oppure lo stesso bar in Hurricane… Come fanno le immagini a diventare parole? Viceversa, come fanno le parole a diventare immagini? E come fanno a comunicarti qualcosa? È un miracolo.”