Live a Milano – Novembre 2017

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Palazzo Litta Cultura

Novembre avvampante e proponente due festival generosi: Jazz Mi e Linecheck (all’interno della Milano Music Week). Stavolta in particolare mi duole lasciare fuori dai soliti 6: Mulatu Astatke, Nick Cave, Lamb, Spoon, Fleet Foxes, Sun Ra Arkestra, Bill Frisell, Chilly Gonzales, The War on Drugs, Perfume Genius, Little Dragon.


Fink – Mercoledì 1, Magnolia

DJ dalla Ninja Tune, raffinato, trasversale


A Place to Bury Strangers – Sabato 4, Serraglio

Dark noise, americani, decennale dell’album di esordio quest’anno


Father John Misty (+ Weyes Blood) – Giovedì 16, Fabrique

Belloccio, molto anche troppo di moda, indie pop (+ belloccia, bella voce, molto forse troppo vintage)


Iosonouncane – Venerdì 24, Linecheck Festival, Base

Prog pop, materico, isolano


Thundercat – Sabato 25, Linecheck Festival, Base

Bassista, miscela black, nella playlist ‘piacionismi’ di livello


King Krule – Martedì 28, Magazzini Generali

Irriverente, un po’ depresso, molto personaggio

Generazione ‘una via di mezzo tra’

Da qualche tempo ho l’impressione di avere saltato a piè pari la fase della maturità e di essere piombata nell’antiquariato. Mi è venuto il sospetto quando ho iniziato a soffermarmi sull’espressione una via di mezzo tra. Me ne servo fluidamente io per prima, mi sguscia fuori senza filtri specie quando parlo di musicisti: Kutiman è una via di mezzo tra Black Keys e Alabama Shake. I Suuns sono una via di mezzo tra Radiohead e Battles. Gli Haelos sono una via di mezzo tra Portishead e XX. Ryley Walker è una via di mezzo tra John Martyn e Geoff Farina. Ma cosa vorrà dire questa tendenza al funambolismo, sarà un bene o un male?

Quando l’anno scorso, il 2015, la ventennale webzine indipendente americana Pitchfork è stata comprata dal gruppo editoriale Condé Nast io mi sono francamente accorata. La consideravo un simbolo, una delle manifestazioni più significative della generazione Lo-Fi , figlia della filosofia punk del Do It Yourself, cioè ‘fattelo da solo’. Un po’ per mancanza di fondi un po’ perché così sarà sicuramente come vuoi senza necessariamente rispondere alle logiche del mercato di massa. Ecco qui, ho pensato, anche questi si sono messi in mezzo tra. Non sono né una fan accanita né tantomeno della prima ora di Pitchfork ma negli anni l’ho consultata parecchio nelle sue sezioni Best New Music e Reviews. Mi è capitato di riconoscermi nelle sue scelte o di trovarle esagerate o ingiustificate. Alla notizia della vendita, però, ho sentito il brivido del passaggio di epoche. Quella dimensione sgangherata e appassionata del ciclostilato 2.0 stava cedendo il passo al mutuo da pagare. Per inciso, continuo a fare le mie consultazioni delle stesse sezioni pitchforkiane ma mi mancano quelle scelte ingiustificate, quei giudizi galvanizzati che erano un po’ piezz’e core. Sono ancora affetta dall’idea che la musica si scelga con la pancia prima ancora che facendo la media delle stellette assegnate dalle recensioni o seguendo gli algoritmi.

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Quest’anno poi, il 2016, si è aggiunto un altro tassello al compromesso storico della cultura indipendente: la catena californiana Amoeba Music ha venduto il negozio di dischi di Hollywood su Sunset Boulevard a un mega gruppo immobiliare intenzionato a costruirci una torre di vetro. Su twitter, la squadra di Ameoba ha comunicato al suo pubblico che ci vorrà qualche anno prima che la sostituzione abbia effettivamente luogo e tra l’altro sembra che il progetto della torre con tanto di piscina sul tetto (si può trovare in rete) sia solo una delle ipotesi per la riconversione dell’edificio. Personalmente ho pensato che Joni Mitchell avrebbe esclamato Don’t it always seem to go that you don’t know what you’ve got till it’s goneThey paved paradise and put up a parking lot, come fece in Big Yellow Taxi, una delle più belle canzoni ecologiste della storia.


Kutiman – She’s a Revolution


Suuns – Translate


Haelos – Dust


Ryley Walker – Primrose Green