Live a Milano – Maggio 2019

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Bar Doria

Se mancano le date del 26 e 27 maggio dei Dead Can Dance all’Arcimboldi è perché sono sold out, e di rosicate nella vita ne facciamo già abbastanza. Ma fortunatamente ci sono buone alternative in questo mese. Buon divertimento ♠♣♥♦


Ron Gallo – Giovedì 2, Magnolia

Rockettaro, da Philadelphia, album da ascoltare: Heavy Meta


“Area Musica 2019” – Domenica 12, Domenica 19 (Push up Quintet) e Sabato 25 (Oquk T Collective), Parrocchia dei S.S. Nereo e Achilleo

Festival jazz, zona Città Studi, prezzi sociali


Still Corners – Mercoledì 15, Ohibò

Lei e lui, inglesi atipici, se vi piacciono Mazzy Star e Beach House


“I want to like you but I find it difficult” – Giovedì 16, Fondazione Prada

Festival, élite ma di qualità, elettronica


Built to Spill – Domenica 26, Santeria Toscana

30 anni di attività, 20 anni di Keep it Like a Secret, camicia di flanella e si va


Deerhunter – Mercoledì 29, Santeria Toscana

Guidati da quel tesoro di Bradford Cox, noise pop, da Atlanta

Musica + Libri #7 – ‘Le variazioni del dolore’ di James Rhodes

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Le variazioni del dolore, James Rhodes – Einaudi 2016

Senza scomodare nessuno, la migliore recensione a questa autobiografia è contenuta già al suo interno, posizionata verso la fine del libro. Si trova nel capitolo 17 ed è l’articolo dello stesso James Rhodes pubblicato sul Guardian nel 2013, dal titolo “Trova quello che ami e lascia che ti uccida”, citando Bukowski. A questo punto della lettura, siamo già entrati in confidenza con Jimmy e non servono ulteriori spiegazioni. Dentro c’è quello che bisogna sapere su certi eroi di tutti i giorni, passati attraverso il dolore, sovrastati dalle incombenze, salvati dalla bellezza. Non c’è spazio per le scuse, scrivete il vostro maledetto libro, li esorta l’autore.

Ma per chi di solito si appresta a fare le cose dall’inizio, l’incipit delle “Variazioni del dolore” recita così: La musica classica me lo fa venire duro. James Rhodes è un pianista londinese quarantenne che ha avuto un’infanzia segnata dagli abusi sessuali da parte del suo insegnante di ginnastica e una vita da adulto sconvolta dalle successive, estreme, conseguenze. Per raccontare la sua storia, ha scritto un’autobiografia pop, diretta, scomoda, polemica, che celebra la libertà di espressione e mostra i grandi compositori classici di tutti i tempi come una sfilza di freak pieni di tic e ossessioni. Il poeta E.E. Cummings ha scritto che ‘essere nient’altro che te stesso – in un mondo che fa del suo meglio, notte e giorno, per renderti uguale a tutti gli altri – significa combattere la battaglia più dura per un essere umano’. Beethoven ha vissuto così ogni maledetto giorno della sua vita (Capitolo 5). Siamo tutti mezzi matti, insomma, esposti al pericolo di non farcela ma qualcosa di potente come la musica può risvegliare il nostro istinto di sopravvivenza, soprattutto se prima abbiamo la possibilità di fare un passaggio in un rehab di lusso in Arizona. Ed è così che, a un centimetro dal baratro, a poco più di trent’anni James decide di organizzare il suo primo concerto, dando inizio a un nuovo capitolo della sua vita, funambolico e illuminato, e tuttora in corso.

Una volta chiuso questo libro, ho pensato che se avessi avuto dei figli sarei stata parecchio più turbata di quanto già non fossi. Sono pagine toste. A volte James Rhodes si lascia prendere la mano e pontifica ma le sue esperienze lo giustificano e sono scivolate che non danno fastidio, spesso stemperate da un’ironia brillante. L’ho sentito esibirsi a Piano City Milano due anni fa, in un contesto inusuale all’interno del cortile di uno storico condominio popolare nella zona Città Studi. Lui esile e impacciato, suscitando tenerezza, sorpresa e divertimento ha suonato Rachmaninov e Bach, in un assaggio della carrellata di composizioni confluite nella playlist “Instrumental”, colonna sonora ideale per la lettura. 

Live a Milano – Aprile 2019

Intanto, più o meno fuori dal Salone…

Blaze

The Blaze, Fabrique

 


Enrico Gabrielli + Dente – Martedì 2, Santeria Social Club 

Terzo dei 5 appuntamenti della rassegna Abat Jour, dedicato a Sergio Endrigo, gratis con prenotazione


Alfa Mist – Sabato 13, Biko

Compositore, produttore, nu jazz britannico


Sinedades – Lunedì 15, Gattò

Primaverili, da Pisa, riferimenti: Caetano Veloso e Kings of Convenience


Beirut – Giovedì 18, Alcatraz

Etno-indie, dal New Mexico, al quinto album


Noname – Sabato 20, Santeria Social Club

Da Chicago, slam poet, jazz rapper


dEUS – Domenica 28, Magnolia

Belgi, per il 20esimo di Ideal Crash, rockettari eclettici

Live a Milano – Marzo 2019

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Pause, dicembre 2018


The Blaze – Mercoledì 6, Fabrique

Duo parigino, elettronici, immersi in una cinematografica periferia


Wild Nothing – Giovedì 7, Santeria

Al decimo anno di vita, dream pop, con venature new wave


Omar Souleyman – Venerdì 8, Magnolia

Siriano, dabke techno, il suo curriculum spazia dalle feste di matrimonio fino al Primavera Sound passando per la cerimonia del Nobel per la Pace


Massimo Volume – Giovedì 14, Auditorium Fondazione Cariplo

Dalla scena underground di Bologna, cultura e controcultura, unici


Joshua Abrams– Lunedì 18, Santeria

Bassista, sperimentatore, collaboratore di tanti artisti (dai Tortoise a Bonnie Prince Billy)


Daniel Blumberg – Martedì 19, Triennale

Giovane, tormentato, slowcore

 

 

Musica + Libri #6 “Caetano Veloso. Camminando controvento”

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Igiaba Scego, Caetano Veloso. Camminando controvento, add editore, 2016

Nel primo capitolo di “Camminando controvento”, Igiaba Scego mette subito le cose in chiaro: Io amo la musica perché mi fa sognare, ballare, credere che in fondo tutto può succedere. I destini di Igiaba e Caetano si incrociano in una libreria del centro di Roma, dove lei trova un impiego accettabile dopo la laurea. Tra i dischi da spolverare, si fa notare la copertina di “Cores, nomes”, album di Veloso del 1982 che mostra lo sbarbatissimo cantante di profilo con un cappello in testa, e Igiaba viene travolta dalla scoperta del Brasile musicale. Pagina su pagina (che non sono molte e si propongono in formato decisamente tascabile) vengono somministrate pillole di una carriera e di una stagione artistica prodighe di influenze tuttora contagiose. Un piccolo testo che scoppia di entusiasmo per un grande amore, alimentato, oltre che dalla musica, anche dalle affinità che Igiaba individua tra la propria storia e l’universo del suo idolo, lungo un filo rosso collega Santo Amaro da Purificação e Primavalle, il Brasile e la Somalia, tutte le migrazioni del mondo. La chiave di scrittura è personale e spontanea ma pur nell’assenza di un andamento lineare per riferimenti storici e cronologia, il libro garantisce parecchie informazioni su Caetano Veloso e sullo scenario culturale e sociale in cui si è mosso dagli anni ’60 a oggi. D’altronde non stiamo leggendo una biografia, l’autrice stessa chiosa, ma una lettera d’amore in forma di flusso di coscienza.



Al termine di questo libro ho focalizzato due cose che mi stanno a cuore della vicenda del protagonista e di come viene raccontata qui. Una è la lezione tropicalista di João Gilberto appresa da Veloso ai suoi esordi, verso la fine degli anni ’50: “João Gilberto è preciso ma sa che la musica è imprecisa, disordinata, ribelle, anarchica… perché anche chi è stonato ha un cuore.É que os desafinados também têm coração” (Desafinado). La seconda è la capacità di Veloso di farsi amare dal pubblico nonostante le frequenti polemiche degli intellettuali sul suo scarso impegno politico e sull’eccessivo sperimentalismo. In seguito all’inizio della dittatura in Brasile, Caetano lascia il Brasile come altri artisti attivisti e insieme all’amico Gilberto Gil approda a Londra. Nasce qui nel 1968 il disco dell’esilio “Caetano Veloso”, manifesto di una generazione di resistenti che hanno scelto di combattere attraverso un approccio moderno, all’avanguardia, poetico e libero, sovversivo per mezzo di arte e cultura, protagoniste della rivoluzione di quegli anni. Ed è questa “Alegria” la lezione di Caetano Veloso, una passeggiata nel sole nel cuore del Brasile sotto dittatura. Camminando controvento, a testa scoperta e senza documenti, nel sole di quasi dicembre, io vado… Perché no? (Alegria, Alegria).


 

 

Live a Milano – Febbraio 2019

Gennaio è stato moscio ma ora ci riprendiamo. Ecco una selezione di 6 concerti per febbraio. Rock the winter ♠♣♥♦

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Nina Simone, Wasabi


Khruangbin – Mercoledì 6, Santeria Social Club

Texani, psichedelici, da serata miciona


Jimi Tenor – Giovedì 7, Biko

Polistrumentista, jazz-funk-sperimentale, finlandese


Deaf Kaki Chumpy – Venerdì 8, Rosetum Jazz Festival 

18 giovani musicisti, made in Milano, gratis


Pussy Riot – Mercoledì 13, Legend Club

Collettivo punk rock, guerrilla girls, dalla Russia


Neneh Cherry – Mercoledì 27, Circolo Magnolia

Figlia del trombettista jazz Don Cherry, prodotta da Four Tet, No Filter


C’mon Tigre – Giovedì 28, Santeria Social Club

Mediterranei, sintetici, visuali

 

The Best Is Yet to Come 2018

 

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4 amici e una chitarra

 

A dieci giorni da Natale, ammalarsi è già un regalo. Sto in casa con quattro amici e una chitarra ad assemblare la playlist di fine anno 2018. Alcune scoperte e delle conferme, cose da ascoltare per dilatare il tempo e rallentare il ritmo. Certo manca il meglio ma quello, prima o poi, arriverà. Buon ascolto.



 

Live a Milano – Dicembre 2018

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Teatro dell’Arte – Triennale di Milano


Attila di Giuseppe Verdi per Prima Diffusa – da Sabato 1 a Domenica 9, in 40 luoghi di Milano

Il Fuori Scala, 50 eventi, gratis

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Hugo Race – Domenica 2, Ohibò

Collaboratore di Nick Cave e Chris Brokaw, dark blues, acustico


La Musica dei Cieli – da Mercoledì 5 a Sabato 22, a Milano e province

Spirituale, interculturale, interurbana


Charlotte Gainsbourg – Mercoledì 5, Fabrique

Cantante e attrice, fuoriclasse, nell’ultimo album ha collaborato con Guy-Manuel de Homem-Christo, SebastiAn, Paul McCartney e Connan Mockasin


Contemporarities – Domenica 9 e Domenica 16, Santeria Social Club

Due concerti di tre, audiovisi, pomeridiani


Jørgen Thorvald – Lunedì 10, Gattò

Elettronico, in incognito, gratuito


 

Musica + Libri #6 “Il cavo della mano” di PJ Harvey & Seamus Murphy

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PJ Harvey & Seamus Murphy, Il cavo della mano, La nave di Teseo, 2017


Nel 2016 PJ Harvey ha pubblicato The Hope Six Demolition Project, un album di spirito corale e resistenza civile. Hope VI, infatti, è un infelice progetto dell’amministrazione di Washington varato nel ’92 per demolire degli alloggi popolari di periferia in vista di nuovi nuclei commerciali e abitativi. In parte, Il cavo della mano condivide l’ispirazione con quel disco, essendo entrambi i lavori nati dalla necessità di testimonianza della realtà e di ciò che certe scelte economiche e politiche rappresentano per la comunità. Mentre The Hope Six si esprimeva in musica, Il cavo lo fa attraverso le poesie della cantante insieme alle fotografie di Seamus Murphy, già regista di alcuni video tratti da The Hope Six

In breve, questa raccolta contiene gli appunti di viaggio di tre tappe percorse dai due artisti tra il 2011 e il 2014: Kosovo, Afghanistan e Washington DC. Strade polverose, squarci nei muri, colori consumati, carcasse abbandonate, oggetti arrugginiti. Ma anche contrasti dell’opulenza che l’Occidente ha generato, tracce di guerra e scenari di sopravvivenza. Alcuni componimenti sono fulminei, come Anacostia:

un minuscolo sole rosso / come un fanale posteriore / lungo il cavalcavia

Il cavo della mano, titolo dal sapore aspro, è quello che mendica sotto la pioggia, oltrepassato con indifferenza dalla gente che cammina fissando il proprio cellulare (La mano). L’invasore è sempre lì, dietro l’angolo della strada, pronto a depredare e cancellare. E noi aspettiamo, e seguiamo uno stato delle cose continuamente in bilico tra disperazione e speranza, abituati, ormai, ma pietrificati. Mentre la notte vigila con la sua mezzaluna (Adhan), assistiamo alla consapevolezza che certe cose non torneranno mai più… è un processo normale ma fa un po’ d’impressione (Pietà per la vecchia strada).

Tutto è raccontato attraverso una varietà di scelte stilistiche che spaziano dal distico (2 versi) alla sestina (6 versi), dai versi liberi a quelli in rima alternata (nell’originale, a fronte in questa edizione). Ad amplificare le vibrazioni delle parole ci sono le immagini di Seamus Murphy, fotografo di guerra di origini irlandesi, che coglie dolcezza e orrore in un medesimo clic. I tanti scatti qui pubblicati sono il frutto di circa vent’anni di lavoro.

 

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Mitrovica, giugno 1999

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Kabul, febbraio 2012

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Washington DC, aprile 2006

Musica + Libri #5 – “Aretha Franklin. La Regina del Soul” di Gabriele Antonucci

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Gabriele Antonucci, “Aretha Franklin. La Regina del Soul” , Vololibero Edizioni, 2016


È agile e incalzante questo piccolo libro sulla gigantesca Aretha Franklin, regina del soul e paladina dei diritti civili che ha rivoluzionato il mondo del gospel. Un talento unico che ha graffiato la vita con la voce, trasformando il dolore in arte, perennemente in bilico tra successi ed esaurimenti nervosi, eccessi e sopravvivenza. Gabriele Antonucci, giornalista e critico musicale, srotola una narrazione in pillole che racconta pubblico e privato in un unico intreccio di emozioni ed episodi memorabili. Nonostante talvolta il ritmo subisca un’accelerazione che comprime la successione degli eventi, il godimento della lettura è assicurato.

La carrellata biografica è serrata, sin dall’esordio sulle scene guidato dal padre, il carismatico reverendo C.L. Franklin, figura di riferimento dei movimenti di lotta per i diritti al fianco di Martin Luther King e pioniere della contaminazione tra gospel e blues. Esibendosi durante le funzioni religiose del reverendo, Aretha inizia a ricevere i primi consensi del pubblico, formato, tra gli altri, da personaggi tutt’altro che trascurabili come Ella Fitzgerald, Duke Ellington e Sam Cooke. Da allora, Aretha viene catapultata nel “music business”, passando per le più prestigiose etichette musicali e da un manager all’altro. Quando nel 1972 dà alle stampe l’album Amazing Grace, Aretha è una celebrità appena trentenne che ne ha già viste di tutti i colori. “Ciò che Kind of Blue di Miles Davis rappresentò per il jazz, Amazing Grace lo fu per il gospel.” commenta Antonucci. Le registrazioni del disco nella New Temple Baptist Missionary Church di Los Angeles sono diventate un film diretto da Sidney Pollack, un documento impressionante di uno dei momenti più brillanti della carriera di Aretha.



Tra disgrazie personali e trionfi pubblici, insicurezze e fobie, Antonucci illustra come Aretha Franklin abbia attraversato più di mezzo secolo di storia della musica sperimentando dal jazz all’r&b e arrivando a scalare, seppur con qualche malumore, le classifiche pop. Fino a una delle ultime apparizioni pubbliche, nel 2015, che riassume bene la traccia indelebile che questa artista pazzesca ha impresso nel firmamento musicale. Quando durante i Kennedy Center Honors, di fronte a un’esibizione da brividi di A Natural Woman, tra il gesto del presidente Obama di asciugarsi una lacrima e l’incontenibile entusiasmo della sala, l’etichetta di una serata istituzionale andava a farsi benedire. God bless Aretha.